Presentazione Presidente ANPI Fermo

  Presentazione dell'autrice

Nota di Massimo Raffaeli

 

 

 

QUEL GIORNO FATIDICO

Affinità elettive 2007

 

                 CORO

I tedeschi avevano cominciato a scendere sulla provinciale verso Caldarette il 13 di giugno del 1944, la festa di Sant’Antonio da Padova. Tanti ne venivano da Monterubbiano, ma altrettanti ne venivano da Ponzano e poi si incontravano. Però all’inizio erano pochi, dieci, venti, le prime avvertenze. Solo dopo è cominciato l’afflusso forte. Questi soldati venivano da noi, chi voleva il latte, chi voleva il pane, chi il lardo. Mangiavano il pane con il lardo! Chi voleva le uova, chi il vino. Non facevi in tempo a dare.

                VOCE FEMMINILE

Al principio della strada nostra certi soldati avevano messo un cartello, ma noi non capivamo la lingua. Il giorno dopo arriva un ufficiale: “Levare cartello” ha detto a mio padre. “Levare cartello! Lì ci sta scritto: Qua c’è il vino buono!”

                VOCE FEMMINILE

Sono arrivati in tanti, mamma gli ha pigliato il vino, gli ha pigliato dieci uova, gli ha dato un salame, però ci hanno fatto capire che volevano mangiare lì da noi. Allora mamma ha pigliato altre dieci uova, abbiamo acceso il fuoco e ci siamo date da fare. Mentre rompevamo le uova i tedeschi ci hanno dato pure le loro, è venuta fuori una frittata grossa così! Una padellata! Non te ne dico quanto pane e quanto vino, quello cotto che era tanto buono!

CORO

Tutto il giorno e tutta la notte era una festa del genere. Che vuoi fare? La vita è così, bisogna affrontarla come ce la manda!

VOCE MASCHILE

Una notte i tedeschi arrivano con i carri. Mio fratello non era venuto a dormire dentro casa, si era nascosto sotto il mucchio della pula, così se pioveva o arrivava la guazza, stava sicuro. Arrivano questi tre carri. Noi, zitti zitti, abbiamo fatto finta che non ci stavamo, non abbiamo acceso la luce, li lasciavamo fare. Loro hanno sciolto le bestie, gli hanno dato da mangiare, sono andati al mucchio della pula. Per poco non abbracciano mio fratello che stava lì sotto!

“Quando loro si sono girati” ha raccontato dopo, “sono scappato giù per i campi, avevo davanti una fila di mucchi di fieno.”

Si era messo a piovere, così si è coperto con il fieno.

È rimasta tanto, questa gente, e alla fine ci siamo accorti che erano andati in cantina. Siamo scesi dalla parte di dentro e babbo gli ha bussato. Allora loro hanno cominciato a strillare e sono scappati via. Credevano che fosse disabitata, questa casa!

La mattina mia cognata è andata a dare da mangiare ai maiali, prima erano quattro e adesso erano tre. Ne mancava uno. Ha guardato in giro, il maiale non c’era. Abbiamo capito che se l’avevano portato via. Per terra c’era un’accetta. Babbo ha detto: “Guarda che bella accettarella! Questa dove l’avranno pigliata?”

È andato a vedere dentro alla capanna e ha capito che era la nostra quell’accetta, solo che gli avevano segato il manico, e il porco se l’avevano portato via. Ma come lo avranno cotto? Poi babbo è andato a vedere giù in cantina: c’erano le vionze e l’avevano messe sottosopra, c’erano due lonze e non ci stavano più, c’era una damigiana di vino e anche quella non ci stava più. Che gli fai? È andata!

 CORO

A noi bambini ci mandavano dentro al fosso, non tornavamo neanche a mangiare. Le paure non si sa quante ne abbiamo pigliate quando arrivavano i tedeschi! Noi scappavamo sempre in mezzo al grano giallo, ma i fratelli più piccoli rimanevano con mamma. Babbo stava sotto le armi, neanche ci si è trovato in queste difficoltà.

 VOCE FEMMINILE

Una notte è capitato un tedesco, ma non della Germania, era un austriaco che capiva parecchio l’italiano perché stava sul confine. Io portavo l’anello di fidanzamento e lui mi ha raccomandato: “Signorina, levare questo, levare! Quelli che vengono dietro sono le SS, non si sa come la pensano.”

 Erano tre anni che mancava da casa. Quando era dovuto partire gli stava per nascere una creatura, e lui non l’aveva ancora conosciuta. Me lo ricorderò sempre che piangeva come un bambino mentre lo raccontava.

  CORO

Stavamo a 200 metri di distanza quando ti salta il ponte. Fortuna che c’erano tante piante, e non è stato ferito nessuno! Però a casa nostra ha sfondato il tetto del maiale. Noialtri siamo ripartiti di corsa, ma più correvi, più i pezzi ti venivano appresso. Mi pare sempre di vederlo davanti agli occhi.

 AMELIA

La famiglia mia si trovava dalle parti del ponte sull‘Ete, sul bivio che da Caldarette va a Ponzano. Dal 13 al 19 giugno, giorno e notte, era sempre pieno di tedeschi a casa nostra. La prima volta che sono venuti volevano cambiare le bestie perché erano stanche. A noi ce n’erano rimaste un paio, ma non erano buone da tiro, erano troppo giovani. Mio fratello Nazzareno pensava che siccome non erano mai scappate dalla stalla, davanti alle autoblindo, ai carri armati, quelle si prendevano paura così le ammazzavano di sicuro. Ma il tedesco decide di attaccarle e basta. Passa un apparecchio, stava la luce accesa e questi la spengono subito. Allora mio fratello approfitta e se la dà a gambe. Quando l’apparecchio è passato, quelli hanno acceso la luce, hanno visto che lui non c’era più, apriti cielo!

“Lui a dommire!” diceva il capo a mia cognata.

“Dormire no!”

Io sono scesa, ma stavo sempre un po’ tirata addietro perché ero una ragazza, e la gioventù è la gioventù, non si sapeva mai quelli come la pensavano, però per grazia di Dio non mi è successo niente.

“Noi non avere uomini!” ho detto.

E lui mi ha domandato a gesti: “E allora quello chi era?”

Non parlava italiano, questo beccamorto. Con le mani gli ho fatto l’atto che lo pagavamo a quello, che era un operaio, e adesso era scappato. Non era convinto. È tornato sulla strada, poi è venuto dentro casa, io ho fatto un salto, sono andata a chiamare mio padre: “Babbo, scendi ché ci stanno i tedeschi!”

Lui è venuto giù, c’era mamma, mia cognata, io stavo appoggiata sull’arco della porta.

“Lui a dommire!” ha ricominciato il tedesco. “Aprire porta! Aprire!”

Se mi succedesse adesso, mi verrebbe un accidente per la paura.

“Aprire!”

La prima porta che ho aperto era la camera di mio nipote, che aveva nove anni. Bum! Ha mandato per aria le lenzuola, ha visto che era un ragazzo e non l’ha neanche ricoperto.

Io avanti ad aprire le porte, e lui dietro. C’era uno sgabuzzino, si dovevano scendere tre scalini, ci tenevamo la legna, le patate.

Gli ho dovuto aprire pure lì. Poi è ritornato sulla strada: “Cinque minuti di tempo, e sparare a te e tuo padre!”

Mamma piangeva.

Allora il tedesco ha fatto capire che aveva fame. Si sono messi a mangiare, ne erano sedici o diciassette. Sono stati da mezzanotte fino alla mattina alle tre. Chissà che si raccontavano fra di loro, le risate che si facevano! Quello che voleva ammazzare a me e babbo, mangiare ha mangiato, bere ha bevuto, ma non ha fatto mai un sorriso. Si vede che pensava: “Questi mi hanno fregato!”

 

La notte appresso, sempre con la paura. La mattina presto arrivano tre camion e si infilano sotto le piante di noce sulla strada nostra. Erano sei piante grosse come le querce. Tu vedi che ti stanno in giro in giro attorno a casa, ma non sai quello che diavolo vanno facendo. Che vorranno? La povera mamma aveva le lacrime sugli occhi. Alla fine si presenta uno che parlava l’italiano: “Perché mamma piangere? Non avere paura, oggi ci stiamo noi.”

Tutti gli altri tedeschi che arrivavano li mandava via. Gli abbiamo fatto gli spaghetti, gli abbiamo cotto un coniglio. Dopo ha visto la pianta di ciliegie, ma le ciliege non ci stavano più. Ha fatto capire che gli sarebbero piaciute, allora mio fratello Giuseppe è andato a coglierle giù da Fede. È stata una festa per loro. Poi capita una signora la quale parlava tedesco. Si sono messi a parlare tedesco, non finivano mai. Era la moglie di Longo, un fotografo che stava sfollato.

 FEDE

Da noi ce ne venivano tanti di sfollati, perché stavamo lontano dalla provinciale. Stavamo ficcati giù dentro a un fosso, perciò i tedeschi non ci passavano. Solo una volta capitò lì un gruppo, tutti armati con i fucili. Io non li capivo, non li capiva nessuno. Però a gesti ci hanno chiesto da mangiare, gli abbiamo dato da mangiare e se ne sono andati via. Dopo, non ne è passato più nessuno di questi soldati a casa nostra.

Noialtri in famiglia ne eravamo tanti, eravamo venti mica uno, e poi era sempre pieno di vicini, non si stava mai da soli. Io ero fricaccio allora, però mi ricordo che in quei momenti, nei giorni critici, dentro casa ci si stava poco. Un mezzo parente nostro, che abitava a 300 o 400 metri, nei momenti critici veniva su: “Scappate, scappate!” ci diceva. “Sparpagliatevi!”. Avevo un fratello più grande che, se lo pizzicavano, lo portavano via. Ma portarseli via era il minimo, quelli ti ammazzavano, non rispettavano neanche Cristo.

 AMELIA

I tedeschi erano carogne però ce ne stavano tanti buoni. Un fratello mio, che è stato in Germania, dopo ci diceva: “I tedeschi sono carogne? Perché, noi italiani siamo stati buoni? Se tu sapessi quello che hanno fatto gli italiani, fuori!”

Quella volta delle ciliegie l’ufficiale ha detto: “Venite con me!” e si è avvicinato ai carri. C’è andata mamma, mia cognata, la signora Longo, io stavo sempre indietro col timore, come dicevo. Quei carri erano tutti pieni di cappotti nuovi di zecca! Ne ha dato uno alla moglie di Longo, uno a mamma, uno a mia cognata. Quello che ha dato a mamma era il più bello di tutti. Erano cappotti borghesi, non militari. Ne venivano da Napoli con quei carri pieni di cappotti nuovi. Loro qua pigliano la roba e là la lasciano. A mio fratello Giuseppe gli hanno lasciato una sveglia. Quella volta è andata bene.

Il diciannove di giugno, verso le tre di notte, sentiamo bussare, un busso insistente. Pioveva a tutto andare.

“Dio!” ho detto con mamma. “Chi ci va ad aprire?”

Toccava a noi due, perché c’era il pericolo che mio fratello se lo portavano i tedeschi. Andiamo ad aprire. Però Nazzareno, tonto tonto, si è alzato pure lui. Il tedesco parlava l’italiano, ha visto che è arrivata mamma, poi mio fratello, poi mia cognata, allora ci ha detto: “Buongiorno! Ma forse avete paura?” Queste le parole!

Mio fratello ha risposto: “Paura sì e no, tanto tranquilli non si può stare. Ma noi siamo abituati ad alzarci presto.”

Il tedesco mi ha guardato e mi ha detto: “Signorina!” Parlava un italiano pre-ci-so. “Si potrebbe avere un po’ di fuoco?”

Abbiamo acceso il fuoco, lui si è messo lì vicino e poi mi ha detto: “Si potrebbe avere un po’ di caffè?”

“Si può avere un po’ d’orzo” gli ho risposto.

Abbiamo messo la caffettiera, ha visto che era grande, ha detto: “Mettere poca acqua perché ho poco tempo.”

Io ho detto: “Abbiamo due fratelli in Germania!”

Io tenevo sempre le lettere di tutti in tasca perché avevo tre cognate, tutte e tre analfabete. Non sapevano né leggere né scrivere, perciò dovevo sempre corrispondere io. Gliel’ho fatte vedere, per sapere dove si trovavano gli uomini nostri. L’ha guardate, l’ha guardate, però ha detto che non ci capiva niente. Ci stavano solo numeri, non ci stavano i nomi delle città.

Poi lui ha detto: “Io stare in Italia tre volte prima della guerra per perfezionare la lingua italiana.”

Ancora me lo vedo, era così bello che era un peccato fargli fare la guerra a quell’uomo! Giovane! Si è levato il cappotto e mio fratello ha capito che era un ufficiale. Ogni tanto si alzava e guardava su per la strada verso Monterubbiano. Dopo che ha preso il caffè è stato una mezz’ora, si è asciugato, ha parlato di tante cose.

 “Tanto danno vi hanno fatto questi miei colleghi!”

“Beh!” gli abbiamo risposto. “Abbastanza!”

“Fatevi coraggio, quello che vi è rimasto ormai sarà vostro, non ve lo toccherà più nessuno!”

Allora mio fratello ha chiesto: “Ma voi da dove ne venite?”

Tante domande non si sarebbero potute fare, però lui ci ha risposto che venivano da Montefiore e andavano verso Porto Sant’Elpidio.

Gli abbiamo chiesto: “Quanti ancora ne dovranno venire?”

“Questo veramente non lo so.”

Quando ha sentito la truppa che era arrivata sulla curva, ha detto: ”Scusatemi, adesso devo andare.”

L’ultima truppa è stata la sua, di centinaia e centinaia di uomini. I suoi soldati avevano i cavalli. Lui è arrivato prima perché aveva la bicicletta. Non è passata più la truppa, ne venivano a gruppi ogni tanto. Un carro, poi un altro, chi a cavallo, chi con la bicicletta, chi a piedi, chi con le bestie. Passati loro, noi pensavamo che stavamo agli sgoccioli, che non passava più nessuno.

La mattina di quel giorno estremo, il 19 giugno, eravamo come risorti.

All’improvviso, saranno state le otto, le otto e mezzo (l’orario preciso non me lo ricordo) ti sento una sparatoria su verso Monterubbiano. Esco di casa e mi incontro con mia cognata e altre quattro o cinque donne. Che si fa, che non si fa? Siamo scappate verso l’Ete e ci siamo riparate a casa di certi amici, giù dentro al fiume. Prima di tutto abbiamo detto il rosario. Siamo state sedute un pezzo terrorizzate. Si sentivano spari, cannonate. “Che ci starà lassù?” ci chiedevamo.

È passato il tempo, all’inizio non parlava nessuno, ma quando le sparatorie sono finite abbiamo cominciato a ragionare: “Andiamo in su, vediamo quello che è successo.” C’era chi aveva lasciato il forno acceso e il pane fatto sulla tavola, invece noi il pane ce l’avevamo finito. Sono ritornata a casa perché stavo in pensiero per mamma e soprattutto per babbo, che aveva una certa età. A casa non ci stava nessuno. Ho pensato che si erano rifugiati tutti da Fede.

 FEDE

In quei giorni era un tribolare, non si raccapezzava più niente, per mangiare. Per dormire poi! Mi ricordo che tante persone la notte dormivano sopra le querce per non farsi pescare da quelli. Erano momenti difficili. Quella mattina non c’eravamo nessuno dentro casa, stavamo nascosti per la campagna. Ci avremo dormito per otto giorni giù dentro. A casa ci andava uno ogni tanto per dare una vista alle bestie, ma per il resto stavamo tutti sparpagliati. Dio ne scampa, se ti pescavano dentro casa ne facevano un camposanto. E la roba di valore l’avevamo nascosta; i soldi li avevamo messi in una cassetta, avevamo fatto una buca in una colonna dentro alla stalla, poi ci avevamo infilato la cassetta, ci avevamo messo sopra un po’ di paglia, poi avevamo murato. Ci voleva che avessero smurato la casa, per pigliarli. Io non ho assistito ai fatti di quel giorno estremo, però l’ho sentiti raccontare tante volte. Per tanti anni quello che è successo è stato ricordato, mica poteva finire tutto così!

I tedeschi venivano con le bestie da Monterubbiano. Un paio di vacche si erano spedate, cioè si erano finite le unghie, erano come uno che cammina scalzo; si erano ferite e non riuscivano più a camminare. Allora hanno preso quelle di Serafino Santini che passava e magari gli potevano lasciare le loro, in cambio delle sue.

 AMELIA

La madre di Giovanni Fortuna, il fidanzato mio, era la sorella carnale di Serafino perciò, anche se non ero presente sul posto, i fatti li so come se fossi stata lì. È stata la suocera che mi ha raccontato tutto.

I figli avevano bisogno dell’acqua per le bestie e gli avevano detto: “Oh ba’, vacci tu a pigliare l’acqua. Noialtri siamo giovani, se incontriamo i tedeschi chissà che ci può succedere. Tu sei anziano, che ti possono fare?”

C’era una fontanella vicino alla chiesa nuova sulla provinciale. E questo povero vecchio è andato, ha riempito la botte e poi sono arrivati i tedeschi e gli hanno levato le bestie. Lui di andare a casa senza bestie, senza niente, non se la sentiva.

 

FEDE

E certo! A quel povero vecchio gli avevano portato via il suo capitale, gli pareva che gli tirassero fuori il cuore. Si lamentava:

“Ridatemi le bestie, ridatemi le bestie!” Così gli è andato dietro, piano piano, poteva essere che gliele ridavano, ma non hanno avuto il tempo perché l’hanno attaccati.

 AMELIA

Vicino alla pinturetta ci stava una curva coperta parecchio di piante. Lì si era fermato un altro gruppo di tedeschi che facevano un po’ di colazione e i partigiani gli hanno sparato da una collina di fronte. Noi la chiamavamo “il monte”, perché quando stavi lì sopra era una veduta. Si vedeva il mare, si vedeva pure casa calda.

 FEDE

Sì, i patrioti hanno sparato e i tedeschi hanno fatto un inferno, non perdonavano più neanche gli angeli. Non tornassero più questi tedeschi! Non lo potesse provare più nessuno quello che hanno fatto, neanche le serpi!

Su quello che è successo precisamente quella mattina, chi dice una cosa, chi ne dice un’altra. Quello che è sicuro è che intorno alla casa di Fortuna si erano radunati i curiosi per guardare i tedeschi che minavano il ponte. Si vedeva bene da quel punto, perché la casa stava in alto. Quando hanno sentito gli spari, questi curiosi hanno cominciato a correre. Dicono, perché io non c’ero. Correvano in su e in giù e poi sono scappati verso la provinciale come una processione. I tedeschi li hanno presi per patrioti. Avranno pensato che erano nemici.

Qualcuno dice che sono morti sei o sette tedeschi. Io non li ho visti con gli occhi miei, ne ho solo sentito parlare; in ogni modo i feriti ci stavano sicuramente perché è stato trovato tanto sangue per terra, dovevano essere insanguinati come le bestie macellate.

Insomma, questi tedeschi si sono trovati in difficoltà, hanno fatto dei gruppi e si sono dipartiti verso le case lì vicino. Quelli che avevano incontrato Santini si sono infilati giù per uno stradello con tutte le bestie e i carri. Un carro era carico di munizioni, così ci è stato riferito. Hanno incendiato tutto. Hanno dato fuoco alle bestie, alle bombe e anche a Serafino Santini.

Come dev’essere il destino! Se aveva abbandonato le bestie, lui poteva ancora vivere!.....................

 

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