Non esistiamo, se non ci raccontiamo

Joyce Lussu

 

Quel giorno fatidico si inserisce nella serie Tu ricordi, io narro, nella quale vado raccogliendo storie della mia città; non è in gioco la ricostruzione storica, bensì il modo con cui i fatti si sono depositati nel ricordo e vengono poi restituiti dall’affabulazione.

L’eredità del passato non è una riserva alla quale è sufficiente accostarsi per impadronirsene di nuovo. Il tempo trascorso non si offre mai tutto intero a portata di mano.

È difficile per tutti separare quanto è accaduto da ciò che si crede sia accaduto. Nel momento in cui evocano il passato, i rammemoranti lo rivivono e insieme lo adattano, lo trasformano, spesso lo ricostruiscono: così come hanno nutrito di sé i ricordi, trasfigurandoli, ogni volta che li hanno richiamati alla mente. Nel nostro caso sono più voci, spesso discordanti, ad incontrarsi, intrecciando le vite di coloro che ricordano con quelle delle persone che scomparvero. Anche chi non ha assistito ai fatti, ma “in quel tempo” ha sentito altri che ne parlavano, si è formato nella mente un’immagine ugualmente viva dell’accaduto, come se avesse visto con i propri occhi.

Quasi mai i rammemoranti seguono un filo cronologico, anzi procedono per frammenti, intervallati da vuoti e da silenzi. Tendere l’orecchio per sforzarsi di percepire la tensione tra il detto e il non detto, in una delicata operazione di svelamento, fa esistere aspetti del senso altrimenti inesistenti. La scrittura - prendendosi cura di ricucire i frammenti, ritessere gli strappi, fermare le immagini sfuggenti, colmare i vuoti con la trama del racconto - conferisce unità a quelle visioni.

Garantendo il mantenimento nel ricordo, la parola orale, e ancor di più quella scritta, è il contrario assoluto della morte.

 

Luana Trapè

 

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Nota di Massimo Raffaeli