I VERSI ALFABETICI DI MARIA LENTI

 

 

In Versi alfabetici, il primo appariscente contrassegno del poetare che si manifesta è la catalogazione dell’esistente, compiuta con un linguaggio sempre più sperimentale, creativo e contratto, un dinamico e molteplice  ricercare che si combina sapientemente con una chiara presa di posizione nei confronti del mondo. L’opera procede a un inventario, appunto in ordine alfabetico, di oggetti, immagini, comportamenti, concetti, sentimenti e pensieri contingenti o perenni, nell’intento di fermare il tempo che passa, segnando le tappe dell’esistenza e della storia. Maria Lenti incontra e sceglie le parole, poi le forza, le costringe col fascino della manipolazione, le incanta a schiudersi cosicché il loro patrimonio espressivo si versi sulla carta e - alla lettura - nelle nostre orecchie, in un ipnotico incantamento. La scrittura si abbandona all’onda fonica, al gusto della variazione e della sperimentazione.

Il vocabolo che dà vita a ciascuna poesia è come il fermaglio di una collana, l’avvio di un mantra, a mostrare come si possa partire da qualsiasi parola per solcare ed aggirare il mondo.

Abbandonata la struttura sintattica della frase, sono le parole nella loro singolarità a farla da padrone: sostantivi, più che altro, con i loro attributi, o accompagnati dalle preposizioni per declinarli nella varietà dei casi; più raramente verbi che non sostengono però nessuna frase, bensì bastano completamente  a se stessi, per dilatare il dire. Nella serie di azioni compiute dal Mercante, ad esempio, potrebbe essere dissimulato uno svelamento parziale della sua scrittura: rimesta, depista, inficia, proietta, sposta, disloca, cerca, paventa, inventa.

Il verseggiare di Lenti inizia deciso a percorrere una strada usuale nella certezza che il vero, la realtà, esistano e siano traducibili in parole: una realtà solida, concreta, indubitabile, incontrovertibile; parole a cui l'uso dona autorità e certezza. Il verseggiare - dicevo - inizia deciso, medita, rimugina, e poi scarta di lato lanciandosi nella vertigine dell’invenzione. Lenti non ha timore di dire tutto, fruga e forza la lingua, la sfida  affinché raggiunga i confini più distanti delle sue possibilità espressive. Nel montaggio virtuosistico si susseguono parole scientifiche: megaterio, specialistiche: acroterio, tratte dalla storia antica: embaterio (Fratella/sorello); termini in disuso, arcaici, preziosi, rari, gergali, popolari, leggermente deformati o inventati. Talvolta c’è lo sberleffo, il salto mortale, delle lettere, che  poi nella fretta di risistemarsi sembra non riescano a ritrovare il posto giusto nella parola: una consonante o una vocale prende il posto dell'altra con studiata indifferenza, fingendo che non ci sia nulla di anormale, sperando che non ce ne accorgiamo. E dalla bravata birichinesca nasce una parola inconsueta, un senso nuovo, attraverso le scorciatoie verbali si origina una differente lettura del mondo.

Nell’urgenza del dire, del dire meglio, del dire di più si presenta continuamente un sinonimo, sgorga un'altra parola, per assonanza, per consonanza, per rima, e man mano però, nello scambio continuo e pressante di un’unica lettera, del primitivo senso rimane soltanto un eco, e poi più nulla. Nello slittamento di senso mondi si spalancano, altri spazi si aprono. Dalla strada maestra si diramano altre strade sempre più appartate, sentieri appena tracciati, con un ritmo prima sonnolento poi sempre più vorticoso si precipita nella giungla, nella selva sconosciuta dell'essere, mettendo a tacere la voce dei propri passi per seguire una voce mai udita prima che si tenta di decifrare. Le parole successive possono essere cercate, scelte, evocate, ma spesso si impongono. Gli opposti e i separati vengono accostati. Un cadere, un precipitare, uno sparo, una dissonanza, uno strillo, mettono in crisi il procedere ordinato razionale e ragionevole. Altrimenti è la forza attrattiva del suono a prevalere, o dell’immagine che esso contiene o suggerisce.

Ma più spesso la parola possiede un magnetismo che sembra attirarle intorno altri vocaboli  cui non si attinge immediatamente il senso e la relazione (può essere sonora, può essere segreta). Sembra che queste parole per noi mute siano però note a quelle che le circondano, le quali possono  darci ragione, garantire almeno l'identità, l'onorabilità, della sorella ignota che hanno ospitato nella loro cerchia. "Voi non sapete nulla di queste sconosciute - sembrano dirci - ma noi garantiamo per loro. Attendete. Guardate. Cercate di intuire, penetrare, comprendere, e un giorno forse vi mostreranno il loro segreto, il tesoro, il senso. E intanto accoglietele per rispetto a noi, al nostro senso che conoscete”.

Si potrebbe quasi affermare che abitano in queste righe coppie possibili e impossibili di vocaboli le quali, come le coppie umane sono feconde, prolificano e si moltiplicano, producendo nuove parole, a loro somiglianti ma portatrici di nuove istanze, come figli dalla personalità autonoma, sempre più remoti, dissomiglianti e discordanti dal punto di origine.

Si potrebbe infine accostare il ritmo di queste poesie a quello uniforme di un ruscello che fluisce inciampando e saltando su di un sasso più grosso e aguzzo degli altri, o un oggetto fabbricato dall'uomo, un oggetto intero oppure un suo frammento - caduto accidentalmente o gettato - che distaccandosi dalla sua forma o destinazione precedente ha assunto una forma inedita, un'identità nuova. Scivola il ruscello/parola, lo scorrere liquido tutto leviga, manipola e assimila a se stesso, tutto trasforma in abitante del regno acquatico/poetico.

 

 

 

 

 

 IL GATTO NELL'ARMADIO

  

DI MARIA LENTI

 

Il gatto nell’armadio prosegue l’opera di catalogazione del mondo iniziata da Maria Lenti in Versi alfabetici, restringendosi - sembra alla prima occhiata - al quotidiano, un terreno meno infido, oscuro o ingannevole  dove procedere con passo sicuro. Ma presto, nel semplice scorrere nella quotidianità, le parole aprono una nuova vita, una nuova finestra su un orizzonte sconosciuto; gli abitanti inanimati della casa tendono i loro fili verso l’esterno, il progetto iniziale che poteva sembrare chiuso, contratto, limitato al proprio io (la casa, l'intimità) si spalanca all’intero mondo.

Lo sguardo della poetessa percorre via via tutte le stanze della sua casa con l’affetto e il coinvolgimento della proprietaria, perché è quasi un autoritratto, questo. Tuttavia la scrittura (che è analisi e proiezione di sé, ma anche distacco) le permette di porsi di fronte a se stessa, di specchiarsi nelle pagine con partecipazione e insieme con un sorriso ironico; di riconoscersi negli spazi e negli oggetti, amati o semplicemente tollerati o abbandonati lì per un istante e lasciati giacere per anni. Tutto questo conservando l’oggettività di indagine dell’estraneo e l’ acutezza del poeta.

Si inizia da un vero e proprio inventario di tutto ciò che cade sotto gli occhi: le piante, quadri e fotografie, manifesti, soprammobili e tutto ciò che si accumula sui ripiani: souvenirs di viaggio, regali, occhiali, blocchi notes, libri che si espandono invadendo ogni centimetro quadrato disponibile, anche nei luoghi non deputati. Lo sguardo penetra anche nei punti più riparati della casa, la cucina, il bagno, il ripostiglio, i cassetti, e infine i grandi armadi immensi (Interni) dove troviamo il nucleo, il senso del dire nell’elenco di sentenze, di tendenze… attenzione alle desinenze! Una sintesi esistenziale non definitiva: infatti Lenti termina l’elenco con dei puntini di sospensione per offrire a se stessa (ma anche a noi) la possibilità di continuarlo. Perché non ha mai fine la possibilità del dire e del poetare.

Sospeso sopra i puntini aleggia, come il sorriso del felino di Alice, Il gatto con le unghie, che non ha un nome proprio, a differenza di quelli che compaiono nelle fotografie. Non è un individuo/gatto a giacere nel buio fondo, bensì la sua essenza, la gattità. Pur sdraiato nel titolo, non era mai apparso nelle stanze come una vera e propria presenza animata. È naturale, perché qui il suo ruolo è di essere chiuso nell’armadio, restando quindi invisibile. Questo è l’ultimo indizio che ci offre la poetessa per la comprensione. Come la maggior parte di noi sa, uno dei più grandi piaceri dei gatti consiste nel nascondersi in un luogo riparato dove poter - è vero - dormire a volontà, ma soprattutto scrutare ogni cosa senza essere visto.

Dunque: nascondimento e allo stesso tempo svelamento sono i motivi principali di questa opera. Svelare che partendo dalla semplice elencazione degli oggetti che popolano le nostre stanze si possono ricapitolare vertiginosamente grandi spezzoni della nostra vita privata, in uno spaccato della vita della coscienza, come di quella sociale. Terminata la lettura di quest’opera si sono apprese molte cose sulla Lenti, senza che mai sia stato pronunciato il pronome “Io”, oppure coniugato un verbo in prima persona. Anzi, di verbi ce ne sono pochi;  anche se riemerge qua e là la struttura sintattica della frase, sono i nomi, i sostantivi con le loro qualità, a predominare, con la loro concretezza, la pesantezza starei per dire: non tuttavia  nel senso della gravezza, dell’oppressione, bensì in quello della stabilità che dà certezza. Nel baluginare e lo sfuggire vorticoso dell’esistenza, gli oggetti danno sicurezza. Gli oggetti sanno, sussurrano, indicano, segnalano, proclamano.

Le parole, come gli oggetti della casa si ignorano, si fronteggiano, coabitano, collaborano.

La parola è una rete che  unisce gli oggetti, li imbriglia in una struttura, in un ex sistere, un nodo di senso oscillante dalla continuità alla discontinuità, dalle certezze all'incerto, al difficile da decifrare. Come la vita.

Luana Trapè, ottobre 2006

 

 

 

 

home  indietro